13 giugno 2009 (25° anniversario
della sua scomparsa).
Di papà amo
ricordare quella frase di un’intervista a Giovanni Minoli: “Mi dà fastidio che
dicano che sarei triste, perché non è vero”. È come lo dice che mi piace:
sorridendo. Non era
triste nemmeno un po’. Era
introverso e tuttavia capace di essere anche molto estroso, in particolare
con noi bambini. Ci portava alla ruota dell’Eur, in tutti i luna park delle
città che visitavamo, a camminare in luoghi impervi e su rocce a strapiombo e
poi in barca, a vela latina, quella senza deriva, nel mare di Stintino. Mia madre
racconta che lui diceva sempre: se potessi scegliere come morire vorrei che fosse
in mare. Mamma aggiungeva scherzando che più di una volta ci aveva pure
provato. Affrontava il mare in tempesta con il cugino Paolo. Per lui il mare
era un’avventura e una sfida. Una volta
io e mia sorella Maria abbiamo fatto naufragio al largo dell’Asinara,
fortunatamente papà era avanti e ha visto che non lo seguivamo più: di certo
non saremmo potute rientrare a nuoto. |
|
Una volta io e mia sorella Maria abbiamo fatto
naufragio al largo dell’Asinara, fortunatamente papà era avanti e ha visto che
non lo seguivamo più: di certo non saremmo potute rientrare a nuoto.
Mi ha insegnato il mare. Un amore assoluto. E ad
andare in bicicletta quando ero ancora piccolissima. In un giorno solo, al Foro
italico. Io cadevo e lui diceva: devi risalire subito se no ti viene paura e
non ci vai più. Sono tornata a casa con le ginocchia sbucciate ma avevo
abbandonato definitivamente le ruotine. Sono sempre i padri che insegnano ad
andare in bici, no?
Con lui abbiamo imparato anche a nuotare. Un
giorno in canotto. Ha detto, a me e ai miei fratelli: scommettiamo che se vi
buttate nuotate? Io vado in acqua, voi tuffatevi, se non ce la fate vi prendo
io.
Ci aiutava nei compiti. Soprattutto storia e
filosofia. E ci faceva capire se i nostri fidanzati gli piacevano ma senza
dirlo: non era necessario, si vedeva molto chiaramente.
Abbiamo quasi sempre pranzato insieme. Almeno
quando poteva tornare a casa. Noi figli si parlava, spesso si litigava, lui
soprattutto ascoltava. E ripeteva: non urlate, non urlate, per carità. Non era
severo, era fermo.
Abbiamo sempre fatto almeno quindici giorni di
vacanze tutti insieme. Luglio si andava con gli amici, ciascuno coi suoi. Ad
agosto insieme noi sei. Per anni abbiamo affittato a Stintino l’ultima casa del
paese quella della signora Speranza. Allora era proprio un borgo di pescatori.
Ciascuno di noi figli aveva il suo gruppo, si cresceva insieme un’estate dopo
l’altra. Poi nel ’77 non ci potemmo andare più.
Erano gli anni del terrorismo, c’erano grandi
problemi di sicurezza.
Ricordo un giorno a Roma, tornando a casa col
Boxer, lo trovai da solo fuori dalla porta senza nessuno della scorta. Mi hanno
convocato a scuola dei tuoi fratelli, mi disse, dobbiamo andare subito, portami
tu. Andammo in due sul motorino, aveva il sellino da uno, io stavo in piedi sui
pedali. Al ritorno sotto casa c’era uno spiegamento di forze: ma dov’è che sei
andato, in motorino con tua figlia da solo, siamo matti?
Fu l’unica volta.
Era rispettosissimo delle regole della sicurezza
soprattutto perché non voleva creare problemi ai compagni che stavano con lui:
Menichelli, Franceschini, Righi, Alessandrelli. Siamo cresciuti con loro.
Comunque: dal 77 non fu più possibile andare a Stintino.
Quella casa non si poteva proteggere. Così per due anni andammo all’Elba, poi
nel ’79 i miei decisero di portarci in Unione Sovietica. Yalta, Leningrado,
Kiev. Si andò in nave passando dalla Grecia.
Mi ricordo che all’arrivo affacciandosi dal ponte
papà disse: “oddio c’è Ponomariov”. Ponomariov era il dirigente che si occupava
dei partiti comunisti non al governo. Ci portarono in una casa sul mare con un
bellissimo giardino.
Papà ci disse, mi raccomando cercate di non
parlare in casa perché sarà piena di microfoni, parlate all’aperto. Mia sorella
Laura aveva 9 anni, ci fece impressione questa storia dei microfoni ma tanto
che potevamo dire di segreto?, gli chiedemmo, lui sorrideva.
Eravamo circondati dagli uomini della sicurezza
sovietica, ci seguivano dappertutto. Se il mare era mosso non volevano che
facessimo il bagno.
Quando vedevano uno di noi figli entrare in acqua
arrivavano di corsa e facevano segno col dito: “Berlinguer, no”. Ci chiamavano
tutti Berlinguer. Allora andavamo a protestare da mio padre, io avevo 18 anni
protestavo molto.
E così lui veniva in acqua con noi: se entrava
lui non potevano dir nulla. Capeggiava la ribellione familiare. Faceva il bagno
con noi e i sovietici a quel punto dovevano spogliarsi ed entrare in acqua
anche loro.
C’era un’interprete che si chiamava Nina, allegra
e chiacchierona, ma quando veniva a cena Ponomariov diventava taciturna e
rigida, si cambiava, si toglieva i pantaloni e si metteva la gonna.
Nell’Urss non siamo più tornati.
Papà sì per i funerali di Andropov, quella volta
che non volle mettersi il colbacco.
L’anno dopo finalmente potemmo tornare a
Stintino. Dall’80, qualche anno ancora. Di nuovo a veleggiare, papà era sempre
al timone. Gli piaceva tantissimo il maestrale forte, mamma non voleva che ci
portasse quando c’era mare ma ormai eravamo grandi e in barca ci andavamo da
soli.
Il giorno che è partito per Padova siamo andati
all’aeroporto insieme. Lui a Genova, io in Sardegna. Ci siamo salutati lì.
Quando mi hanno chiamata la notte ho capito subito
che doveva essere una cosa molto grave: lui non avrebbe permesso che
chiamassero a quell’ora.
A Stintino, a casa di Speranza, non siamo tornati
mai più.
------------------
Intervento di Enrico Berlinguer a Mosca in occasione del 60° anniversario
della Rivoluzione d'Ottobre. (L'Unità, 3 novembre 1977).
………
Il complesso delle forze rivoluzionarie e di progresso - partiti,
movimenti, popoli, stati - ha in comune l'aspirazione ad una società superiore
a quella capitalistica, alla pace, ad un assetto internazionale fondato sulla
giustizia: qui sta la ragione indistruttibile di quella solidarietà
internazionalista che va continuamente ricercata.
Ma è chiaro anche che il successo della lotta di tutte queste forze varie
e complesse esige che ciascuna segua vie corrispondenti alle peculiarità e
condizioni concrete di ogni paese, anche quando si tratta di avviare e portare
a compimento l'edificazione di società socialiste: l'uniformità è altrettanto
dannosa dell'isolamento.
Il Partito comunista italiano è sorto anch'esso sotto l'impulso della
rivoluzione dei Soviet. Esso è poi cresciuto soprattutto perché è riuscito a
fare della classe operaia, prima e durante la Resistenza, la protagonista della
lotta per la riconquista delle libertà contro la tirannide fascista e, nel
corso degli ultimi 30 anni, per la salvaguardia e lo sviluppo più ampio della
democrazia.
L'esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione - così come è avvenuto
per altri partiti comunisti dell'Europa capitalistica - che la democrazia è
oggi non soltanto il terreno sul quale l'avversario di classe è costretto a
retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare
un'originale società socialista.
Ecco perché la nostra lotta unitaria - che cerca costantemente l'intesa
con altre forse d'ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa
occidentale - è rivolta a realizzare una società nuova socialista che
garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il
carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell'esistenza di diversi
partiti, il pluralismo nella vita sociale, culturale e ideale.
……..
L'archivio degli scritti di Enrico Berlinguer è
presso la Fondazione Antonio
Gramsci.